Nel corso di una recentissima tavola rotonda svoltasi per iniziativa della Presidenza dell’Ordine di Medici di Lecce, è stata analizzata la gravissima situazione dei servizi di pronto soccorso ospedalieri che, a Lecce come nel resto d’Italia, sta diventando ormai insostenibile per diversi motivi. Tra questi, spiccano il progressivo abbandono dei medici cui si aggiunge la difficoltà a reperirne di nuovi e la crescente pressione dei cittadini su questi servizi soprattutto negli ospedali di maggiori dimensioni.
Le cause di questo fenomeno affondano in errori di programmazione compiuti nei decenni precedenti con il risultato che oggi ci sono pochi specialisti letteralmente contesi tra le aziende sanitarie, per un lavoro con scarsa attrattività economica a fronte di significativi rischi professionali e di ritmi di lavoro usuranti. Il pronto soccorso, un tempo considerato il biglietto da visita di un ospedale, è oggi miseramente ridotto a girone infernale dal quale, una volta entrati, non si sa come e quando si esce. Occorre uscire al più presto da questa spirale perversa, innanzitutto mediante provvedimenti di carattere sistemico quali ad esempio l’aumento delle borse di specializzazione e la ristrutturazione organizzativa dei servizi di pronto soccorso richiesta dalle società scientifiche di riferimento con la creazione di spazi per la osservazione breve intensiva e la terapia sub-intensiva di pronto soccorso, che però, una volta e se approvati, necessiterebbero di lunghi tempi per produrre i loro effetti.
Intanto, per affrontare l’emergenza attuale occorre pensare a provvedimenti più efficaci, concordati tra lo Stato e le Regioni. Innanzitutto, creare un’area funzionale di medicina di emergenza e pronto soccorso nella quale consentire la stabilizzazione dei tantissimi medici con incarichi a tempo determinato in pronto soccorso anche non specialisti, come anche dei tantissimi medici di emergenza 118 che hanno superato un apposito corso di formazione in emergenza sanitaria e oggi vivono in un limbo professionale. Questa misura consentirebbe, con requisiti di appropriatezza e sicurezza, di aumentare da subito la platea dei medici utili per il servizio in pronto soccorso, anche facendo ricorso ad incentivi economici che riconoscano il disagio e il rischio professionali.
Andrebbe inoltre regolamentato l’accesso dell’utenza ai servizi di pronto soccorso. Infatti, dalle statistiche disponibili risulta che solo il 10% delle richieste di prestazioni di pronto soccorso sono classificate come codici rossi (urgenza assoluta) e gialla (urgenza media) mentre la stragrande maggioranza delle richieste di accesso sono codificate come bianche (mancanza di criteri di urgenza) e verdi (urgenza lieve) con l’aggravante che spesso il codice verde è sovra-rappresentato per evitare che il paziente codificato con il codice bianco si veda arrivare a casa la richiesta di pagamento del ticket da parte della azienda sanitaria. Per questo è necessario prevedere un filtro all’ingresso ove si effettua il “triage”, ovvero la classificazione del codice di gravità. Questa funzione, oggi espletata da personale infermieristico, deve essere invece a gestione medico-infermieristica per avere una adeguata copertura medico-legale.
A seguito del triage così effettuato, i codici rossi e gialli accederebbero in pronto soccorso, mentre i codici bianchi e verdi accederebbero in un’area di medicina territoriale fisicamente attigua ma distinta dal pronto soccorso, nella quale i pazienti sarebbero gestiti con gli strumenti tipici delle cure primarie, oggi potenziati dalla nuova convenzione della medicina generale che consente l’impiego dei medici di assistenza primaria e specialisti in strutture territoriali di nuova concezione, realizzate e tecnologicamente strutturate grazie ai fondi del PNRR.
Gli strumenti a disposizione, dunque, ci sono; le Regioni possono intervenire con l’obiettivo a breve termine di alleggerire la pressione che grava sui pronto soccorso dei grandi ospedali, in attesa che maturino le condizioni per soluzioni più strutturali.