Si deve ritornare sulla situazione di difficoltà dei servizi di Pronto Soccorso a causa della ennesima crisi dovuta ai nuovi casi di “Covid” e al conseguente aumento di pressione sugli ospedali.
Si tratta di una nuova tegola che si abbatte su un sistema la cui crisi è da riferirsi ad errori di programmazione sanitaria del passato, ma che oggi ha bisogno di essere affrontata con strumenti concreti e soprattutto immediatamente efficaci. Sul versante Covid, va detto innanzitutto che durante la prima fase della emergenza Covid, il sistema sanitario ha reagito determinando un incremento di posti letto in area internistica ed intensiva, con l’obiettivo di offrire maggiore possibilità di ricovero ospedaliero a pazienti affetti dalla forma più grave di malattia Covid che abbiamo conosciuto, ovvero quella con compromissione delle basse vie respiratorie associate a complicanze di tipo tromboembolico.
Da circa 8 mesi, grazie al contributo della vaccinazione di massa, registriamo una diminuzione della virulenza virale con il prevalere di forme cliniche che coinvolgono le alte vie respiratorie dando manifestazioni che per comodità di comprensione definiamo di tipo influenzale. Questo significa che al ricovero ospedaliero giungono attualmente non soltanto pazienti nei quali la patologia Covid è quella dominante, e per i quali i nuovi farmaci antivirali e gli anticorpi monoclonali rappresentano armi terapeutiche efficacissime. Una buona parte di pazienti Covid positivi ospedalizzati sono di età pediatrica; un’altra parte cospicua è invece affetta in via prioritaria da altre patologie, sia mediche sia chirurgiche e in questi pazienti il Covid rappresenta una patologia concomitante.
Da queste considerazioni epidemiologiche devono poter scaturire decisioni di carattere organizzativo ispirate da criteri di appropriatezza e sicurezza. Ad esempio, mantenere la competenza internistica per i casi Covid nei quali l’infezione rappresenta la prima patologia per importanza clinica e contestualmente predisporre un’area funzionale chirurgica nella quale ricoverare pazienti affetti da patologie con prevalente competenza chirurgica (es. chirurgia generale, urologia, ortopedia e traumatologia, ecc.). In quest’area funzionale, i reparti specialistici hanno in carico il paziente e si avvalgono della consulenza pneumologica per le problematiche Covid, mentre una équipe infermieristica dedicata gestisce l’assistenza.
Sul versante del Pronto Soccorso, resta ferma la necessità di prevedere un filtro all’ingresso dei pazienti dove si effettua il “triage”, ovvero la classificazione del codice di gravità. Questa funzione, oggi espletata da personale infermieristico, deve prevedere una responsabilità medica con adeguata copertura medico-legale. A seguito del triage così effettuato, solo i codici rossi e gialli (gravità medio-alta) devono poter accedere in pronto soccorso. I codici bianchi e verdi (gravità nulla-lieve) devono invece poter accedere in un’area di medicina territoriale fisicamente attigua ma distinta dal pronto soccorso, nella quale i pazienti, presi in carico da Medici del territorio, possono essere gestiti con gli strumenti tipici delle cure primarie, oggi potenziati dalla nuova convenzione della medicina generale che consente l’impiego dei medici di assistenza primaria e specialisti, peraltro all’interno di strutture territoriali di nuova concezione, realizzate e tecnologicamente strutturate grazie ai fondi del PNRR.
Un ulteriore ed immediato passo avanti sarebbe ancora se la Regione Puglia, senza attendere lo Stato, più che obbligare medici ospedalieri a espletare turni in pronto soccorso (corsi e ricorsi dopo 30 anni!), istituisse un’area funzionale medicina di emergenza e pronto soccorso in cui inserire sia medici con incarichi a tempo determinato in pronto soccorso anche non specialisti sia medici di emergenza 118 già formati per l’emergenza sanitaria.
Infine, è inevitabile pensare a significative incentivazioni economiche per chi lavora in pronto soccorso. Anche in questo caso non è necessario attendere lo Stato.