Fa molto discutere l’annuncio di dismissione delle c.d. USCA da parte dell’assessorato Regionale alla salute della Puglia. Le USCA, ovvero le Unità Speciali di Continuità Assistenziale costituite da medici appositamente incaricati, furono istituite durante lo stato di emergenza pandemica per fare fronte alle esigenze di presa in carico domiciliare dei pazienti affetti da malattia “Covid 19” e tuttora continuano a svolgere il loro prezioso compito assistenziale, dato che i contagi non sono ancora cessati. È invece cessato lo stato di emergenza, e con essa comincia a venire meno tutta l’impalcatura dei provvedimenti emergenziali, tra cui la istituzione delle USCA, che nei programmi ministeriali dovevano coprire un fabbisogno standard di 1 Unità ogni 50 mila abitanti con 7 Medici ciascuna. La Regione Puglia riuscì ad attivare 50 USCA (dati di novembre 2020) attraverso il reclutamento di un elevatissimo ancorché imprecisato numero di professionisti.
L’attività dei Medici USCA ha consentito di garantire la tenuta del sistema domiciliare durante le fasi più critiche della emergenza pandemica; ha contribuito a ridurre notevolmente la pressione sul sistema ospedaliero attraverso un approccio clinico e organizzativo appropriato ai pazienti; ha di fatto concretizzato un sistema “duale” di cure domiciliari nel quale, in linea generale, il medico di famiglia ha svolto un lavoro di raccordo da remoto nel suo studio e le USCA sono intervenute sul campo. Questo modello si è rivelato utilissimo e, direi, quasi obbligato soprattutto durante le prime due fasi della emergenza, allorquando la malattia si manifestava nelle sue forme più aggressive e per certi aspetti inusitate; in seguito, la malattia è risultata fortunatamente più gestibile senza la necessità di dover ricorrere ad una presenza massiva e capillare di medici di continuità assistenziale al domicilio dei pazienti, grazie alla elevata percentuale di casi sintomatici o pauci-sintomatici.
Di fronte a questa evoluzione della patologia è doveroso interrogarsi sulla necessità di continuare ad impiegare un numero così elevato di risorse professionali e quindi non si può che convenire sulla idea espressa dall’Assessore alla salute di rivedere numeri e attività della USCA sul territorio regionale, tenuto conto anche dello stato di sofferenza del bilancio sanitario regionale in cui comunque spiccano altre e ben più macroscopiche voci di spesa degne di attenzione (ad esempio le sanitaservice, sempre più simili a voraci rami di azienda invece che semplici società di servizi come previsto dalla legge istitutiva).
Ciò detto, riflettiamo sulla storica opportunità data alla Regione Puglia di promuovere il piano di potenziamento della sanità territoriale previsto e finanziato dalla Missione Salute del PNRR: un piano nel quale spiccano gli investimenti per realizzare le case della comunità, potenziare la dimensione domiciliare delle cure fino a prendere in carico il 10% della popolazione ultra sessantacinquenne, sviluppare la telemedicina. Tutti questi investimenti necessitano, per poter essere concretizzati, di risorse professionali qualificate tra cui medici.
L’esperienza delle USCA ha consentito di formare sul campo delle cure domiciliari tanti giovani professionisti che oggi rappresentano un patrimonio da non disperdere, anzi da qualificare ulteriormente, per esempio attraverso l’offerta di conseguire la specialità in Medicina di Comunità mediante una convenzione tra le ASL e la scuola di specializzazione recentemente attivata dall’Università di Bari, oppure attraverso l’offerta di percorsi di alta formazione finanziati e gestiti dalla regione, orientati allo sviluppo delle competenze professionali, manageriali e digitali per lo sviluppo del programma previsto dal PNRR.
Contestualmente, dopo le opportune verifiche di bilancio, i medici già USCA potrebbero essere da subito impiegati in numerose attività di rilevanza territoriale, quali la continuità assistenziale nei Presidi Territoriali di Assistenza insieme o in aggiunta ai medici di famiglia, nel sistema delle cure domiciliari a favore dei pazienti cronici ed anche di eventuali ulteriori ammalati di Covid 19 in modo da non far decadere questa tipologia di assistenza; gli stessi potrebbero infine trovare un largo impiego nella gestione dei codici bianchi e verdi presso punti di primo intervento territoriale organizzati all’interno dei DEA per decongestionare definitivamente i servizi di pronto soccorso.
L’auspicio, quindi, è che la regione Puglia riesca a reperire ed allocare in maniera stabile le risorse per procedere ad una progressiva integrazione dei medici USCA all’interno del piano di sviluppo della sanità territoriale, avendo cura di potenziare le loro competenze, nel quadro di una visione sempre più orientata a realizzare gli obiettivi del PNRR, che oggi più che mai corrispondono al bene comune dei cittadini pugliesi.