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La legge sulla autonomia differenziata e i suoi effetti in sanità: che cosa resta del Fondo Sanitario Nazionale (Pt.2)

1 Agosto 2024

Il Fondo Sanitario Nazionale (FSN) è il fabbisogno nazionale standard previsto dalla legge nazionale (D. Lgs. 68/2011), ovvero il livello di finanziamento necessario per il funzionamento del SSN a cui concorre lo Stato, attingendo alle risorse fiscali. Questo finanziamento è successivamente ripartito tra le Regioni e le province autonome, tenendo conto di criteri la cui applicazione ha l’obiettivo di garantire i valori costituzionali dell’equità e della universalità. Il criterio prevalente finora impiegato nella ripartizione del FSN è stato quello della “quota capitaria pesata”, ovvero si parte da una ripartizione standardizzata per numero di residenti (quota capitaria), il cui valore viene corretto (quota capitaria pesata) in funzione dell’età dei residenti.

Presupposto di questo criterio è che all’aumentare dell’età aumenta il consumo di servizi sanitari, per cui la pesatura della quota tende a finanziare maggiormente le regioni con la popolazione più anziana. Questo criterio è stato affiancato da altri criteri introdotti dal 2023 a seguito di un accordo della Conferenza Stato Regioni del 20221 , quali la mortalità sotto i 75 anni e alcuni indicatori socio-economici (indice di deprivazione).

L’aggiunta di questi criteri ha parzialmente temperato l’effetto negativo causato dallo spopolamento per migrazione interna dalle regioni meridionali (la Puglia ne è particolarmente colpita), specie da parte di soggetti giovani, per cui le regioni interessate perdono quote di finanziamento relative a soggetti che teoricamente avrebbero meno bisogno di accedere ai servizi sanitari, mentre aumenta relativamente la popolazione anziana che assorbe le risorse residue in maniera elevata. Questo nuovo algoritmo ha garantito un surplus di risorse pari a circa 1.800 milioni di euro, specie in favore delle regioni del sud e insulari più colpite da fenomeni di deprivazione (nel 2023 sono andati al Sud complessivamente + 206 milioni di euro di finanziamento, di cui 45 alla Puglia), mentre alle regioni del nord sono arrivati complessivamente 134 milioni in meno.

Esiste però un’altra quota di finanziamento, detta premiale (644 milioni di euro nel 2023), che viene distribuita in relazione al raggiungimento di obiettivi di servizio (griglie LEA). Questa quota viene distribuita tra tutte le regioni adempienti nel raggiungimento di obiettivi collegati ai LEA, ed in misura maggiore premia le regioni tradizionalmente più virtuose in questo senso, tra cui quelle che sono oggi in prima fila nel richiedere spazi di autonomia differenziata.2

C’è infine un’altra quota di risorse, proveniente dal FSN, che si redistribuisce tra le regioni: è la quota di mobilità passiva inter-regionale per i ricoveri e le prestazioni ambulatoriali, ovvero il costo della migrazione sanitaria. Nel 2022, le regioni che hanno richiesto autonomia differenziata in sanità hanno registrato un saldo attivo di circa 900 milioni di euro, in gran parte a favore di Lombardia e Veneto. Pertanto, volendo tracciare un bilancio di come il FSN si redistribuisce materialmente, è evidente che il maggiore finanziamento alle regioni deprivate (attivo però solo dal 2023), viene di fatto riequilibrato dal rientro delle risorse premiali e dalla mobilità passiva inter-regionale in favore delle altre regioni, dando vita ad una partita economico-finanziaria del valore di circa 3,5 miliardi di euro.

Un valore certo non trascurabile in assoluto, ma che in fondo pesa per circa il 3% soltanto del valore del FSN, pari nel 2023 a 128 miliardi e destinato entro il 2026 a toccare quota a 140 miliardi, e che diventa una quisquilia se paragonato al valore della vera partita economico-finanziaria in gioco con l’autonomia differenziata, pari alla differenza tra il gettito fiscale delle regioni del nord e le altre regioni italiane con la quale dovrebbe essere finanziata l’autonomia differenziata (oltre 40 miliardi), invero non solo per la sanità.

Se già l’analisi della redistribuzione reale del FSN fotografa evidenti squilibri tra le regioni, pur con i crescenti miglioramenti ottenuti nella garanzia dei LEA dalle regioni del sud nel corso degli anni, è facile immaginare cosa accadrebbe con l’innesco della autonomia differenziata: un ulteriore, più grave e probabilmente irreversibile declino della sanità nelle regioni già deprivate, al quale farebbe seguito un ulteriore aggravamento della differenza degli indicatori di salute (mortalità infantile e aspettativa di vita media soprattutto), senza parlare degli indicatori di carattere tecnico-funzionale.

A questo punto, è interessante cercare di capire quali spazi di autonomia differenziata hanno richiesto le regioni interessate, se questi sono compatibili con la ragion d’essere di un Servizio Sanitario Nazionale, quali ricadute effettive essi avrebbero sulle popolazioni interessate. Ma sarà interessante anche cercare capire come le regioni deprivate, oltre ad opporsi a questa autonomia differenziata, possono e devono rialzarsi da questa condizioni di minorità, e quale ruolo deve svolgere lo Stato, ed in particolare il Ministero della Salute, per garantire l’effettiva attuazione dei princìpi costituzionali in materia di diritto alla salute di tutti i cittadini italiani (continua).

(1) Intesa Conferenza Stato-Regioni del 21 dicembre 2022, recepito con decreto del Ministro della salute del 30 dicembre 2022.
(2) Per maggiori approfondimenti, è possibile consultare il Focus Tematico n°3 / 27 marzo 2024, pubblicato dall’Ufficio Parlamentare di Bilancio, a cura di R. Fantozzi e S. Gabriele.
(3) Vedi www.ISTAT.it, report 2023, Sezione Sanità e Salute.

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