Sono molto forti le recenti dichiarazioni di Monsignor Vincenzo Paglia, presidente della Commissione per la riforma dell’assistenza sanitaria e sociosanitaria della popolazione anziana, un organismo istituito dal Ministero della Salute nel 2020, in piena pandemia, sull’onda emotiva provocata dallo stato di solitudine vissuto dagli anziani in condizione di forzato isolamento all’interno delle RSA.
Monsignor Paglia, con l’autorità morale che gli deriva anche dall’essere il Presidente della Pontificia Accademia per la Vita, denuncia il persistente stato di isolamento in cui versano gli anziani ospiti delle RSA, sebbene gli stessi siano vaccinati contro SarCov2 (anzi oggi si apprestano a ricevere la seconda dose di rinforzo o c.d. quarta dose), e indica nei direttori sanitari delle strutture i responsabili di tale condizione. In effetti la vigente legislazione ha da tempo alleggerito le restrizioni imposte ai visitatori che intendono accedere alle residenze e recentemente lo ha fatto anche per i visitatori di pazienti ricoverati in ospedale, pur lasciando ai direttori sanitari il potere di adottare autonomamente provvedimenti restrittivi in presenza di condizioni epidemiologiche sfavorevoli, come ad esempio la presenza di casi di positività all’interno delle strutture oppure il riscontro di elevati indici di contagiosità.
Purtroppo, da oltre 3 mesi questi elementi stanno dominando il quadro epidemiologico, a causa della prevalenza di varianti virali particolarmente contagiose e responsabili perfino di reinfezioni nel 10% dei soggetti già vaccinati anche con terza dose. Questo scenario spiega l’attuale atteggiamento prudente e difensivo delle strutture assistenziali per anziani. Troppo fresco e doloroso è ancora il ricordo dei decessi a catena avvenuti nelle RSA soprattutto nella prima fase della pandemia, quando ancora non era disponibile il vaccino; troppo fresco e doloroso è ancora il ricordo del clima generale di sfiducia e criminalizzazione che ha colpito queste strutture, senza considerare invece che il sacrificio e l’abnegazione degli operatori delle RSA, pur stremati e impauriti, ha fatto da argine alla pandemia, ed i cui responsabili, al di là di una narrazione pubblica ostile e ingenerosa, hanno dovuto fare i conti sia con i maggiori costi necessari a reperire personale e dispositivi di protezione, sia con i minori introiti dovuti al blocco dei ricoveri, al punto da mettere a serio rischio la sopravvivenza stessa delle strutture.
L’atteggiamento prudente e difensivo delle strutture residenziali verso l’accesso di visitatori nasce essenzialmente da questi fattori, ma tutto ciò non basta a farsi carico della denuncia di Monsignor Paglia, ovvero che le RSA causino solitudine e abbandono degli anziani ospiti, contribuendo ad affermare quella “cultura dello scarto” tante volte denunciata da Papa Francesco per stigmatizzare l’atteggiamento di sufficiente indifferenza con il quale si guardano i soggetti più deboli e indifesi, e per questo considerati “scartabili”. La denuncia lascia il segno e interroga con forza la coscienza di chi opera in queste strutture. Tutti siamo ben consapevoli della estrema importanza di garantire agli anziani ospiti delle RSA la possibilità di continuare a godere dei propri affetti familiari; tutti vogliamo che le RSA siano luoghi aperti al territorio e non dei fortini isolati nei quali “difendere” persone ridotte a dei meri involucri privati degli affetti più cari.
Molto in questo senso è stato fatto: dalla realizzazione delle stanze per i colloqui con le vetrate per assicurare il distanziamento fisico, alle procedure di “triage” per filtrare i visitatori vaccinati, ai patti di responsabilità con i parenti per i rientri temporanei al domicilio, alle vaccinazioni intensive di ospiti e personale, al continuo monitoraggio dell’infezione negli ospiti (a cura dei dipartimenti di prevenzione) e nel personale (a cura dei datori di lavoro). Eppure, nonostante questo livello di guardia così alto, si registrano ancora casi di positività che costringono a adottare procedure di emergenza come se fossimo ancora nella prima fase pandemica.
Ebbene osserviamo che, per fortuna, non siamo più a quel livello: nella stragrande maggioranza dei casi, gli ospiti che si positivizzano nonostante abbiano ricevuto le tre dosi di vaccino, presentano per lo più sintomi lievi e per un tempo limitato, raramente necessitano di ricovero ospedaliero e molto meno in terapia intensiva. Questo vuol dire che si potrebbe ragionevolmente accettare di fissare una soglia di positivi rispetto al totale degli ospiti di una RSA (ad esempio il 10%) entro la quale poter continuare ad ammettere visitatori in struttura e accettare ingressi di nuovi ospiti, ferma restando l’assunzione di responsabilità del direttore sanitario circa il rispetto delle condizioni di sicurezza necessarie, ovvero la garanzia di un effettivo isolamento degli ospiti positivi fino alla loro negativizzazione.
Le strutture residenziali non possono certo pretendere di modificare le politiche sanitarie e sociosanitarie per gli anziani, ma molto vogliono e possono ancora fare per migliorarne la qualità della vita al loro interno, perché loro non sono “uno scarto”, ma sono nostre madri e nostri padri.