Estratto dell’intervento tenuto al Convegno:
PROGETTO PER UNA OFTALMOLOGIA ETICA E SOSTENIBILE
Casa di Cura “Prof. Petrucciani”, Lecce, 2 dicembre 2023
Buongiorno a tutti,
desidero ringraziare il promotore scientifico di questo Convegno, il dr Tommaso Micelli Ferrari, per avermi rivolto l’invito a riflettere su un tema particolarmente sensibile nel dibattito pubblico attuale, ovvero il ruolo della ospedalità privata, e quindi più in generale della sanità privata, nel contribuire a rendere il sistema sanitario pubblico più equo ed efficiente, quindi più in grado di offrire un servizio efficace e tempestivo ai cittadini di questo paese. Un servizio pubblico, quindi, connotato da una cornice etica, in quanto in grado di garantire la presa in carico del cittadino paziente quando vi è la necessità, e nello stesso tempo, sostenibile, ovvero in grado di reggere il peso di sfide assistenziali sempre crescenti, stretto come è tra una disponibilità di risorse che rischia di essere sempre deficitaria rispetto ad una sanità sempre più costosa, perché costose sono le infrastrutture e le tecnologie, e sempre più in affanno, per la difficoltà di reperire e trattenere al suo interno le risorse professionali, che sono l’architrave del sistema stesso.
Questa prospettiva di eticità e sostenibilità nel quale si muove l’ospedalità privata è perfettamente coerente con lo scenario delineato dalla evoluzione storica e normativa del nostro servizio sanitario nazionale, che dalla riforma epocale del 1978 è approdato all’attuale assetto stabilito dai decreti 502 e 517 del 1992 e definitivamente consacrato dal decreto 229 del 1999, il quale fissa le regole per esercitare attività sanitaria nel nostro paese, e soprattutto detta gli indirizzi per armonizzare il rapporto tra il servizio sanitario nazionale e gli erogatori privati.
E’ esattamente in questa cornice, ovvero nella distinzione dei tre momenti fondamentali della autorizzazione allo svolgimento di attività sanitaria, dell’accreditamento istituzionale e dell’accordo contrattuale, che si delinea il rapporto tra servizio sanitario ed erogatori privati, sotto il controllo delle Regioni, che per legge costituzionale sono deputate alla governance della organizzazione sanitaria. Questo veloce ripasso di legislazione sanitaria, del quale vorrete scusarmi, è necessario per affermare innanzi tutto che l’operatore privato in sanità, per realizzare il suo businnes di impresa, è chiamato ad una profonda consapevolezza delle regole, del sistema regolatorio, e soprattutto della priorità che assume il diritto costituzionale a che sia garantito l’accesso al servizio sanitario dei
cittadini.
Questi princìpi ovviamente valgono e devono valere per tutti, erogatori pubblici ed erogatori privati, anzi bisogna dire che per molti anni il sistema pubblico è stato auto-assolutorio verso sé stesso, continuando ad esempio a consentire lo svolgimento di attività in strutture non a norma, o a consentire l’apertura di servizi specie ospedalieri, pure in assenza dei requisiti necessari per garantire la continuità assistenziale. Solo da pochi anni, in questa regione, con l’entrata in vigore di norme stringenti sulla sicurezza delle strutture sanitarie e sul loro accreditamento istituzionale, assistiamo ad un riequilibrio nella azione dei controlli finalizzati all’accertamento dei requisiti di accreditamento. Mi è sembrato necessario ribadire questi concetti, per ricordare che l’imprenditore privato che ha come core businnes l’erogazione di prestazioni sanitarie in regime di convenzione con il servizio sanitario, proviene da un percorso autorizzativo complesso che ha superato tutti i filtri relativi alla verifica dei requisiti strutturali, tecnologici ed organizzativi, ed è supportato da un sistema di qualità che garantisce ad esempio la gestione del rischio clinico, la sicurezza dei pazienti e degli Operatori, la formazione del personale, la privacy degli utenti ed una corretta comunicazione. Tutto ciò è verificato e certificato da organismi addetti a tale finalità, dai dipartimenti di prevenzione all’organismo regionale tecnicamente accreditante, ed è solo la premessa per entrare dritti nel tema di questa giornata: ovvero come concretamente realizzare un approccio etico e sostenibile per ampliare le possibilità di accesso ai servizi per i cittadini, in un contesto di risorse limitate e di bisogni epidemiologici crescenti, in generale, e soprattutto, dato il tema della giornata, in una disciplina specialistica, come Oftalmologia, da sempre caratterizzata, da un maggior peso specifico del rapporto fiduciario tra paziente e Specialista rispetto ad altre discipline.
I prossimi interventi dedicati alla epidemiologia delle malattie oculari ci spiegheranno meglio come l’impatto della cronicità abbia aumentato il fabbisogno assistenziale in questo ambito, cosa di cui voi Oculisti siete ovviamente ben consapevoli perché i vostri studi rappresentano il polso più attendibile di questa situazione. Diciamo quindi che la domanda di assistenza in oftalmologia è efficacemente intercettata sotto il profilo della diagnosi, grazie ad una fitta rete di specialistica ambulatoriale pubblica e privata, verso la quale i cittadini si muovono in maniera primaria, ovvero senza intermediazione che non sia quella del medico di famiglia che prescrive la visita oculistica. I problemi che oggi rileviamo in merito all’accesso alle prestazioni, dunque la dimensione etica, sorgono nel momento in cui occorre garantire una diagnostica di secondo livello e soprattutto quando occorre assicurare la terapia, che in oculistica prevede una componente interventistica ad alto contenuto tecnologico, distinta in tre livelli di complessità, a ognuno dei quali corrisponde un preciso contenuto autorizzativo.
Queste difficoltà sono accentuate dalla collocazione tecnico-amministrativa della disciplina di oculistica. E infatti, il D.M. n. 70/2015, che contiene i criteri per il riordino delle reti ospedaliere in tutte le regioni italiana, colloca la Oculistica tra le discipline che devono essere assicurate nei Presidi Ospedalieri di base, ovvero quelli aventi bacino di utenza tra 150 e 300 mila abitanti, in quanto devono assicurare la maggiore copertura territoriale al fabbisogno epidemiologico della popolazione. Tale collocazione risulta però penalizzante per la disciplina in quanto la rende subalterna ad altre specialità chirurgiche come chirurgia generale ed ortopedia che si accaparrano i pochi anestesisti disponibili,
rendendo oculistica del tutto residuale nel contesto ospedaliero. Questo è uno dei motivi che spiegano perché il sistema sanitario pubblico rinunci a gestire direttamente la oculistica ospedaliera; a questo si aggiunga la necessità di prediligere assunzioni di specialisti ritenuti più necessari per le discipline di emergenza-urgenza e, non ultimo, l’elevato costo degli investimenti tecnologici necessari per mantenere l’offerta di oculistica ad un livello elevato.
In questo contesto si sono moltiplicati gli appelli di società scientifica e di vari stakeholders per consentire un accesso più equo e omogeneo alle prestazioni di oculistica, organizzandole in un setting più appropriato, come quello ambulatoriale.
Ecco il significato del Regolamento regionale n. 15 del 4/8/2020 della regione Puglia, che riordina tutte le prestazioni ambulatoriali e dedica una apposita sezione alla oculistica, in cui si sancisce la trasformazione definitiva della oculistica in una branca ambulatoriale, con livelli di complessità 1 e 2 compatibili con lo studio medico, e un livello di complessità 3 attribuito all’ambulatorio chirurgico. L’attuale assetto organizzativo della oculistica prevede quindi che le prestazioni di maggiore complessità possano essere eseguite in un setting ambulatoriale, riservando in via esclusiva all’ospedale la traumatologia, che del resto richiede l’assetto organizzativo di un trauma center. Si apre quindi uno scenario del tutto inedito per la Oculistica, grazie anche alla decisa spinta in direzione di un forte sviluppo della sanità territoriale, sancito dal D.M. n. 77/2022 che ridisegna gli standard e i servizi sul territorio, a sua volta reso possibile dai fondi del PNRR che finanziano le nuove strutture sanitarie territoriali, quali le case della comunità.
In questo contesto, nasce l’idea di sviluppare una proposta di sviluppo organizzativo della oculistica in una struttura, come la casa di cura “Prof. Petrucciani” di Lecce, già accreditata e convenzionata per la disciplina di oculistica, munita dei requisiti per ospitare attività di chirurgia ambulatoriale di 3° livello, che intende farsi carico delle esigenze assistenziali dei pazienti in maniera complementare rispetto al servizio pubblico. Il nostro approccio intende essere etico sia perché il progetto si prefigge di ampliare le opportunità di accesso alle cure oculistiche per i pazienti, sia perché siamo pronti a ridiscutere il contenuto del nostro contratto di prestazioni con la ASL di riferimento, allo stato interamente costituito da interventi di cataratta. Siamo pronti cioè ad orientare il nostro budget verso altre prestazioni carenti nel territorio perché riteniamo che circoscrivere tali prestazioni in convenzione ai solo interventi di cataratta non sia nell’interesse della popolazione.
Nello stesso tempo il nostro progetto intende essere sostenibile perché, per la sua parte privata eseguita in regime autorizzativo, le prestazioni saranno proposte a tariffe adeguate alla dimensione sociale del fabbisogno assistenziale oculistico, quindi saranno tanto più calmierate quanto maggiore sarà questo fabbisogno. Per questo desidero ringraziare non solo il dr Micelli Ferrari, grazie al cui impulso questo progetto è nato, ma anche e soprattutto la proprietà e l’Amministratore Delegato della Casa di Cura “Prof. Petrucciani”, per avere ancora una volta creduto in una iniziativa che genera valore sociale, prima ancora che professionale ed economico.