La questione della mobilità passiva sanitaria extra-regionale desta sempre molto scalpore sia per la dimensione economica del fenomeno, sia per i delicati aspetti di politica sanitaria recentemente evidenziati dall’assessore alla Salute Dott. Rocco Palese, sia per gli aspetti sociali evocati dalla migrazione dei cittadini pugliesi che vanno a farsi curare fuori Regione.
Il fenomeno è in realtà ormai strutturato da circa 25 anni, da quando cioè è entrato in vigore il sistema di remunerazione a tariffa dei ricoveri ospedalieri (il c.d. sistema “DRG”), fattore che accanto ad un uso sempre più distorto del principio costituzionale della libera scelta del cittadino circa il luogo dove farsi curare, ha prodotto un quadro di progressiva sottrazione di risorse alle regioni meridionali a favore delle regioni del Nord. Il fenomeno si è infatti progressivamente ingigantito senza alcun tipo di governo, anche per la convenienza di alcune regioni a lasciare la questione nella più assoluta de-regulation, e nel tempo si è rivelato un fattore sempre più distorsivo per il bilancio della sanità nazionale, arrivando a pesare per circa 3,5 miliardi di euro nel 2019 e finendo per incrementare i divari tra regioni, non sempre a fronte di nobili motivazioni.
Per la regione Puglia, la mobilità passiva extra-regionale ha pesato negli anni 2018 e 2019 per circa 240 milioni di euro, mentre nel 2020 la cifra si è ridotta a 170 milioni a causa delle restrizioni indotte dalla situazione pandemica. Poco meno del 50% di queste somme è stato speso per ricoveri di alta complessità, mentre la restante parte è stata consumata per prestazioni di complessità medio-bassa e riabilitazione.
La composizione della spesa per mobilità passiva è da sempre conosciuta nei minimi particolari: per regione di destinazione, per struttura sanitaria, per causa di ricovero e tipo di prestazione. Sottratta una quota di mobilità dovuta alla residenza in zone di confine, sottratta una quota relativa alle prestazioni di alta complessità chirurgica in area pediatrica (prodotte in Lazio dal Policlinico “Gemelli”), cioè quote difficilmente eliminabili nel breve periodo, la restante parte è relativa a prestazioni afferenti a discipline di medio-bassa complessità come ortopedia e chirurgia, di medio-alta complessità come neuro e cardiochirurgia, per citare le voci più significative. Queste prestazioni vengono prodotte soprattutto in Lombardia, Emilia Romagna, Veneto, Toscana e Marche, quasi sempre da strutture private accreditate con il SSN i cui specialisti reclutano pazienti pugliesi all’interno di studi medici di questa regione. Questo avviene perché, allo stato attuale, non vi sono grandi limiti per le strutture private accreditate ad accettare ricoveri da fuori regione, mentre vi sono limiti precisi (i c.d. “tetti di spesa”) per i ricoveri regionali.
Intervenire su questo elemento potrebbe determinare una inversione di tendenza, ed è quanto la Puglia finalmente si appresta a fare come primo passo, grazie alla ritrovata iniziativa dell’assessorato alla Salute: utilizzare cioè il saldo tra mobilità passiva 2019 e 2020, circa 70 milioni di euro, per promuovere sul territorio regionale un aumento delle prestazioni che abitualmente vanno fuori regione. Questo è possibile perché le strutture sanitarie pugliesi, sia pubbliche che private accreditate, sono perfettamente in grado di eseguire interventi di chirurgia per obesità, di protesi articolari e alluce valgo (sic!), di cardiochirurgia e quant’altro, ovvero la maggior parte delle prestazioni che vanno in mobilità, anche ricorrendo ad una politica di regressione tariffaria, cioè con uno sconto sulle tariffe reso possibile da economie di scala nel caso delle strutture private.
D’altra parte, sarà necessario applicare questo metodo anche alle strutture di fuori regione: fissare cioè un tetto di spesa per la mobilità verso le altre regioni, in particolare per quelle strutture che erogano prestazioni perfettamente erogabili in regione Puglia e dove costerebbero di meno grazie allo sconto sulle tariffe. Per altre situazioni, come ad esempio la mobilità di area pediatrica, sarà necessaria una ulteriore riflessione per potenziare efficacemente la rete regionale e metterla in condizioni di garantire le prestazioni necessarie.
Tutti questi elementi sono contenuti nella delibera n. 315 del 7 marzo 2022, con cui la regione Puglia affronta l’analisi della mobilità passiva e ne pianifica l’attività di recupero: come si è già detto, la soluzione del problema avrà bisogno di una cornice nazionale, ma oggi la Puglia sembra finalmente disporsi con la giusta postura strategica per invertire la rotta ed offrire più opportunità ai propri cittadini attraverso la valorizzazione del proprio servizio sanitario regionale.