È passato quasi un anno dalla ondata di malattia “Covid 19” sostenuta in maniera dominante dalle varianti virali “omicron”, che costrinsero a letto mezza Italia, e che oggi sono protagoniste assolute della circolazione virale da SarCov 2 in attesa di nuove varianti. Molta acqua è passata sotto i ponti: la pandemia ha assunto una dimensione epidemica, coloro che contraggono la malattia presentano quadri clinici di tipo prevalentemente influenzale e non sviluppano più, per fortuna, quelle gravissime complicanze tromboemboliche che hanno sostenuto la mortalità nella prime fasi della pandemia, le norme di igiene e sanità pubblica sono state alleggerite (fine dell’obbligo vaccinale e riduzione della quarantena), abbiamo a disposizione vaccini e farmaci efficaci.
Nonostante tutto questo si osserva ancora una mortalità elevata per malattia “Covid 19” (circa 600 morti ogni settimana), considerata in parte evitabile (con una stima del 7%). A questo si deve aggiungere il ritorno anticipato della epidemia influenzale (quest’anno è australiana), che complica la situazione sul piano epidemiologico e clinico, dato che molto spesso è difficile anche distinguere le due malattie infettive.
Si profila quindi uno scenario completamente cambiato e la domanda è se il nostro sistema sanitario ha sviluppato una notevole capacità di resistenza nell’affrontare le nuove minacce infettive e come può essere ancora più efficace nel proteggere i cittadini.
Lo scenario è cambiato soprattutto grazie ad alcuni fattori, come la straordinaria campagna vaccinale del 2021, grazie alla quale l’80% della popolazione italiana ha completato un ciclo primario con almeno una dose di rinforzo.
La campagna per la seconda dose di rinforzo ha invece scontato una certa debolezza nel suo avvio (ad oggi solo il 40% della popolazione l’ha ricevuta) tanto che è stata promossa in affiancamento alla vaccinazione anti influenzale 2022-2023: ciò contribuisce a spiegare l’eccesso di mortalità che purtroppo ancora oggi si registra nel nostro Paese, specie a danno della popolazione fragile.
Occorre quindi un recupero vaccinale per creare una condizione di efficace resistenza di fronte ad una prossima, altamente probabile ondata epidemica della malattia.
Per questo non possiamo stancarci di continuare a sostenere la vaccinazione anti Sarcov-2 insieme con la vaccinazione antiinfluenzale, quali armi principali per proteggere la popolazione dalle forme più gravi della malattia, che causano ricovero ospedaliero e mortalità specie tra i soggetti fragili.
Sembra superfluo ricordare, ma non lo è affatto, che sono sempre valide le indicazione igieniche e preventive generali quali il frequente lavaggio delle mani e l’uso della mascherina nei luoghi affollati.
Inoltre, si deve sapere che sono oggi disponibili ottimi farmaci antivirali la cui efficacia si manifesta quanto più precocemente essi vengono somministrati, più degli anticorpi monoclonali disponibili che erano molto efficaci soprattutto verso le prime varianti immunitarie del virus.
Invece, uno dei problemi principali registrati nella pratica clinica è stato piuttosto un eccesso di burocrazia sanitaria per poter ottenere il rapido accesso a questi farmaci, dato che essi sono somministrabili a seguito di piano terapeutico rilasciato da uno specialista Infettivologo del servizio sanitario nazionale.
Soprattutto su questo punto le aziende sanitarie sono chiamate a fare uno sforzo supplementare, non solo per rendere più agevole l’accesso ai farmaci, ma soprattutto per offrire un riferimento clinico sul territorio in grado di orientare pazienti e medici curanti.
Utile sarebbe replicare alcune ottime pratiche adottate nel territorio nazionale, prima fra tutte creare veri e propri hotspots territoriali, cioè aree extra-ospedaliere, presidiate da Infettivologi e/o Pneumologi, nei quali convogliare pazienti con sospetto di malattia respiratoria per eseguire una veloce ed efficace diagnosi differenziale (tampone, eco-fast toracica) così da ottenere in un colpo solo diagnosi di malattia, indicazione al ricovero ospedaliero, reclutamento per la terapia e prescrizione dei farmaci per il domicilio.
In un’epoca in cui si parla tanto di sanità territoriale e di avviare le Case della Comunità finanziate dal PNRR, questo sembra essere un ottimo punto di partenza.